Non è una fissazione solo mia, perché di tutti, ribattere sull’argomento scuola, come il martello sul chiodo che penetra a fatica e molto lentamente. Cadrei in contraddizione se non fossi convinto che ogni anno scolastico costituisce per ognuno un ciclo del vivere in terra, in cui l’oggi non chiude ieri, ma bensì dischiude il domani.
Direi che ciascun ciclo percorre una interminabile spirale, della quale ogni punto segna l’estremo di un giro e contemporaneamente l’inizio di un altro … salendo.
“Tutti a scuola” si troneggiava sul fondo del palco allestito per la settima volta nel cortile del Quirinale, per l’inaugurazione dell’anno scolastico 2012-13.
Lungi dal voler scandalizzare coloro che considerano tale celebrazione di secondaria importanza, obsoleta e piuttosto banale, sono convinto che poche persone tra quelle che contano oggi vi provino l’emozione del protagonista d’un tempo, nella condizione di alunno e studente, poi di docente e ancora, di padre e di nonno. Sempre la stessa emozione per il primo giorno di scuola, ancorché nuova, come per la prima volta.
È un’occasione quasi di giuramento che ciascuno fa a se stesso di investirsi tutto nell’adempiere il proprio dovere con serietà e fede, consapevole che il lavoro di un anno scolastico è pietra miliare nella vita di ognuno, direttamente o indirettamente, la cui proficuità si misura in quanto compiuto in quel preciso intervallo di tempo della vita e mai più ci si torna. Ormai, una tale cerimonia non costituisce più la festa di tutti, di tutte le età e condizioni. La festa che apre alla gioia di fare qualcosa di mai fatto prima, di lavorare sperando insieme, per crescere insieme.
La scuola oggi è catalogata fra le aziende che producono macchine e organi di macchine e, indubbiamente, sarebbe molto difficile mantenere l’equiparazione del perdere tempo a festeggiare, invece di produrre articoli da mercato! Ci voleva un nonno speciale, il Presidente della Repubblica che, durante il suo mandato, ne additasse l’importanza a tutta la Nazione.
“La Scuola è chiamata a fare un salto di qualità , a formare persone oneste!”.
L’ha detto il Ministro dell’Istruzione e della Ricerca. In altri tempi, queste stesse parole esprimevano il senso naturale dell’essere scuola, per il brillare della civiltà d’un popolo, ora suonano piuttosto come un richiamo a riportate anche l’agenzia scuola nell’ordine della propria peculiarità. Cioè nel tempo e luogo in cui si informano e formano (pare sia troppo vago dire: si educano!) i cittadini di domani.
Oggi, si dà senso concreto ad ogni parto della fantasia, purché ritenuto “ovvio”: anche quella riflessa nel pozzo è vera luna! Che confusione, quando chiunque parli ha ragione! Abbiamo tanto bisogno di scuola. All’inaugurazione erano presenti i rappresentanti di tutte le scuole d’Italia, militari e civili, non in una fantasmagoria di colori, ma indossavano indumenti di solo tre colori, sapientemente disposti da formare un grande bandiera, che copriva l’immenso cortile gremito e lì accentrava il presente e il futuro dell’unità nazionale.
Da qui partono il senso e il tono della annuale attenzione: tutti a scuola, uniti, torniamo al lavoro! Abbiamo tutti bisogno di scuola. Le lezioni si tengono dentro e fuori di ogni edificio scolastico, è improprio dire che per il nuovo anno si riaprono i cancelli, perché nella realtà della vita, la scuola non ha cancelli … e, magari, neppure le pareti!
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