C’era un anziano signore, che abitava verso la collina più alta dove era situata la città, chiamata dai sette colli. Era considerato il saggio del villaggio. Dalla mattina alla sera, vegliava e pregava, nella speranza che tutto si svolgesse regolarmente e serenamente nel contado. Spesso le cose andavano nel verso giusto, ma tante altre volte le cose non andava per niente bene.
Ogni giorno si domandava se fosse colpa sua, se le cose non andavano secondo un preciso concetto di efficienza tra coloro che governavano il paese.
Pensando e ripensando alle tante cose che non andavano un giorno chiese lumi al suo padre spirituale, al quale aprì tutto il suo cuore e tutta la sua sofferenza. Il padre spirituale e confessore che conosceva bene la statura morale, umana, spirituale ed intellettuale del vecchio saggio, gli disse semplicemente: “Hai ragione, le cose non sono come prima ed ora tu non ce la fai più a portare il peso e la fatica di essere di guida agli altri. Pensaci bene, una via di salvezza e di uscita per te e per gli altri c’è sempre”.
Il vecchio saggio allora pensò per mesi ed anni cosa fare, se lasciare o meno il suo incarico di guida per ritirarsi nel deserto a pregare. E dopo attenta riflessione arrivò alla decisione che era giunto il tempo di non più procrastinare la decisione. Dopo una notte vissuta in preghiera, a prima mattina, convocò tutti i suoi consiglieri più stretti e con grande semplicità, senza drammatizzare, mettendo a nudo la sua debolezza fisica, conseguente all’età avanzata, decise ufficialmente di lasciare il colle più alto della città e ritirarsi nella solitudine per continuare a pregare ed attendere con fede il momento del trapasso.
All’annuncio dell’imminente abbandono, tutti furono presi dal dolore e dalla nostalgia, ma qualcuno nel profondo del suo cuore incominciò a gioire, perché quel vecchio saggio era la sua coscienza critica e il suo continuo richiamo ai valori più alti della vita umana.
Arrivò il tempo del saluto ultimo del vecchio saggio e chi da lui guidato pianse amaramente, perché non avrebbe visto più il suo volto e non avrebbe più sentita la sua voce. Aveva solo la speranza che lui continuasse a pregare per la sua anima e per il bene della città. Confidava pure che continuasse a far pervenire a quanti avevano stima di lui un messaggio cifrato in pillole di amore, sapienza ed intelligenza, saggezza e bontà come era stata l’intera sua vita, ormai verso fine.
Quel saggio, contrariamente alle aspettative dei detrattori, visse ancora molti anni.
E ritirandosi tra le mura di un monastero, non faceva altro che pregare e continuare a scrivere. Con lui, però, aveva portato “due grandi e semplici amori della sua vita”: il pianoforte del papà e il gattino che un giorno aveva incontrato per strada e gli aveva fatto compagnia quando era un semplice mortale e viveva a valle. Nei momenti di profonda solitudine e di amarezza per quanto non era riuscito a fare quando era nelle piene sue facoltà fisiche, si dava alla musica e dalle mani non più leste e leggere di una volta continuavano ad uscire brani musicali che chi li ascoltava toccava il cielo con le mani.
Quando era triste per le tante incomprensioni avute con i più vicini e stretti collaboratori, si abbracciava teneramente il gattino, quasi a sfiorare con la tenerezza del cuore e l’affetto di un padre ogni persona che aveva incontrato nel suo lungo itinerario di saggio.
Un giorno quel saggio morì e lasciò scritto nel suo breve testamento queste semplici e sante parole: “Sono stato un umile servo nella vigna del Signore ed ora il buon Dio voglia premiare i miei sforzi di essergli stato fedele fino alla fine”.
Quel saggio fu seppellito tra le persone semplici di un cimitero nascosto, dove solo pochi lo andavano a trovare per pregarlo e dirgli semplicemente grazie. Nel frattempo sull’alto colle salì un altro saggio che non era tra i candidati e pronosticati a svolgere il ruolo del sapiente del villaggio.
Per il nuovo saggio del villaggio ci vollero degli anni per poter entrare nel cuore dei cittadini e farsi amare meglio e più dei suoi predecessori, perché anche lui aveva messo in conto una cosa importante valida per chi sale i colli e vive in alta montagna e per chi vive nella valle delle lagrime: “che nulla è eterno e definitivo su questa terra, perché tutto passa, ma solo Dio resta”.
Padre Antonio Rungi
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.